Abbiamo avuto modo di scambiare alcune battute con Nicola Mastronardi, autore del romanzo storico Viteliù – il nome della libertà, libro ispirato alle antiche popolazioni italiche e ambientato al tempo delle guerre sociali, giunto ormai alla seconda edizione e alla novantesima presentazione in Italia. Un romanzo che parla delle antiche popolazioni che abitavano l’odierno Abruzzo e l’alto Molise, e del loro rapporto con Roma, la città eterna, amata e odiata, ma destinata in quegli anni a diventare l’Impero più vasto della terra.
Qual è la ragione che l’ha spinta ad affrontare un tema così particolare come quello delle antiche guerre sociali, avvenute tra Roma e i suoi antichi alleati italici?
"La verità è che questa storia non l’ho cercata, ma è arrivata a me, proponendosi attraverso la storia dei Sanniti, in primo luogo nel tentativo di genocidio operato da Silla alla fine della guerra sociale, e civile, del 82.a.C., contro i Sanniti. Un tentativo sconosciuto: Silla mandò addirittura due eserciti sul territorio, per far sparire “fisicamente” l’etnia sannita, e sia di tentarne la damnatio memoriae, cioè lui voleva che dei Sanniti e dei Pentri sparisse perfino la memoria storica. È pazzesco. Una storia così forte nessuno ce l’aveva mai raccontata.
Debbo dire che nel corso degli anni ho scritto questo romanzo come di riflesso al mio interesse riguardo la storia dei Sanniti, ma più andavo avanti più mi rendevo conto di raccontare un momento topico sia per la storia dei Sanniti che per quella di Roma, con il tramonto dell’età repubblicana.
Scrivendo, inoltre, mi sono reso conto di trovarmi davanti alla conclusione di un’epopea italica di nove secoli, mai raccontata in un romanzo storico, se non con un tentativo di Vincenzo Cuoco, molto ben riuscito ai primi del Novecento, con il Platone in Italia. Nove secoli di storia italiana, prima ancora che sannita, locale, abruzzese, non studiata dai nostri docenti, se non in ambiente universitario. Eppure l’apporto italico alla storia universale e a Roma è ancora più rilevante di quello etrusco, che pure hanno dato un impulso enorme alla città latina, con l’architettura e con alcuni re come Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo."
Forse è stato il fascismo a contribuire a questa damnatio memoriae…
"Può darsi. Roma ha appiattito la storia, esaltando Roma imperiale, non sapendo che una delle componenti più forti della Roma imperiale era quella italica. E la guerra sociale segna uno spartiacque della storia di Roma, che fa concludere la Repubblica e fa iniziare la storia della Roma imperiale con Cesare e poi, soprattutto, con Augusto. In quel momento Roma smette di essere a capo di una serie di popolazioni sottomesse formalmente un paio di secoli prima, ma di fatto ancora territori autonomi: si trattava infatti di soci che potevano conservare usi e costumi, pur dovendo al governo di Roma un certo numero di soldati."
Si può dire che l’Impero Romano nasce con l’assimilazione di questi popoli?
"Esatto. Con la fine delle guerre sociali, Roma diventa una capitale di uno stato unito, dal Rubicone in giù che si chiamava Italia; dopo verrà inglobata anche la Gallia Cisalpina. E quindi è grazie all’apporto di questa forza unita che l’Impero poté nascere. Ma era dall’VIII sec. a. C. che c’era un incontro-scontro tra Roma e le popolazioni italiche. Anche ai tempi della monarchia romana, ci fu una divisone del potere tra la città e le varie popolazioni: Romolo, ad esempio, condivise il regno con Tito Tazio, un personaggio storicamente esistito, che era un italico, un Sabino precisamente. Ben tre di Roma erano italici e due etruschi."
Esiste una leggenda secondo cui dall’antico Abruzzo provenivano i soldati più forti di Roma…
"I Sanniti e i Pentri formavano il meglio dell’esercito repubblicano. Non solo, ancora in età imperiale si diceva dei Marsi, dei Sanniti e dei Pentri di come fossero straordinari soldati, i più forti soldati dell’antichità, preromana e romana. Possiamo dire che la vera astuzia di Roma, contro popolazioni più forti di lei dal punto di vista militare, è stata quella del divide et impera, grazie a cui il suo dominio si è affermato e consolidato nel tempo. E però possiamo dire che alla fine i popoli italici hanno vinto. Come? Venendo sì inglobati, ma rimanendo ben presenti nell’anima del nuovo assetto imperiale."
Nel suo romanzo affronta anche aspetti più insoliti, quasi esoterici, come divinazioni o sogni premonitori o profezie. Secondo lei la sacralità del mondo antico si è persa oggi?
"Io credo che i Sanniti fossero un popolo un po’ più arcaico rispetto alla civiltà più “urbana” che Roma rappresentava. Un popolo molto legato alla natura e a mondi spirituali, a spiriti naturali che venivano intuiti e che si diceva reggessero il Cosmo – nella tvola osca si vede benissimo queste divinità naturale che presiedevano a tutte le fasi nascita e crescita di una pianta, quattordici divinità adorate sotto la maestà di Kerres. Questa visione spirituale proveniva anche dalla vicinanza dei Sanniti alla natura, e quindi ai culti misterici."
Lei è tra i promotori di un parco archeologico che fonda il patrimonio artistico a quello della natura. Cosa può dirci a riguardo?
"C’è questa idea di parco archeologico territoriale tra il basso Abruzzo e l’alto Molise che raggruppi e metta in rete tutti i siti archeologici Sanniti. Ma c’è anche un’idea di rivalutare lo studio complessivo delle civiltà italiche, dai Piceni ai Lucani, creando un centro studi post universitario simile a quello di Firenze che si occupa di etruscologia. Vorremmo fondare un centro studi, diretto dal prof. La Regina, che si occupi delle popolazioni italiche, e che quindi faccia avere la visione di un popolo unico ma troppo spesso dimenticato."