Abbiamo avuto la possibilità di incontrare Marcello Marciani a Roma, presso la Sala F.U.I.S. del Sindacato Scrittori, in occasione della recente doppia presentazione dei suoi libri La corona dei mesi e Rasulanne, rivolgendogli alcune domande sulla sua attività letteraria. Marcello Marciani è uno scrittore e poeta lancianese, conosciuto ben oltre i confini della nostra regione, ma anche uno stimato farmacista della nostra città che alterna le due attività, quella di scrittore e quella di farmacista – su quale sia l’attività affrontata con passione e quale per dovere solleviamo una sospensione di giudizio.
E così iniziamo questa chiacchierata con lui.
Come nasce la sua passione letteraria?
"La passione nei confronti della letteratura e della poesia nasce nell'adolescenza. Al liceo ho avuto degli insegnanti molto bravi, fra cui il professor Tonino Lanci scomparso da poco, che hanno stimolato la mia inclinazione verso la scrittura creativa. Gli studi universitari poi sono stati indirizzati in un’area scientifica, ma ho comunque continuato a coltivare gli interessi letterari."
E adesso ha una bella produzione letteraria all’attivo, sia al livello di scrittura in lingua italiana che dialettale, come ad esempio La corona dei mesi che accoglie entrambi le due sfere.
"Si, anche se “La corona dei mesi è in sostanza un libro italiano con qualche inserto dialettale. L'unica mia pubblicazione interamente in dialetto è Rasulanne (Rasoiate), che nel 2012 ha vinto il premio “Ischitella-Pietro Giannone” e che raccoglie il lavoro di vent’anni di ricerca sul nostro idioma. Io sono molto lento nel pubblicare, non ho la smania compulsiva di far stampare ad ogni costo un testo, sono colto da frequenti dubbi e ripensamenti e infatti questo libro in dialetto l'ho “trascinato” dentro me per tanti anni perché non riuscivo a trovare un convincente fil rouge che legasse insieme i vari componimenti."
Quanto conta per lei preservare i valori della cultura tradizionale lancianese?
"All'interno di tale cultura, che è molto stratificata e vivace e di cui non riesco a seguire tanti aspetti, a me interessa tutelare il dialetto, che rischia di disperdere la sua autenticità nell'odierna babele massmediatica. Il valore storico-antropologico di tale lingua è inestimabile, per cui essa va studiata, preservata e valorizzata anche con le forme e i tempi della poesia."
Lo scrittore è colui o colei che sente di avere una questione aperta con la lingua, che all’interno di una struttura linguistica data cerca di scardinare la condizione iniziale per creare qualcosa che non c’era mai stato prima.
"Dentro un codice lessicale nazionale, io tendo a inserire termini gergali, neologismi, idiotismi, forestierismi, per creare una tessitura composita, una sorta di neolingua, vicina all'espressività del parlato eppure straniata da un ritmo musicale che ne scandisce i vari passaggi. Non mi interessa la lingua purificata di alcune correnti letterarie, “la parola innamorata”, il cosiddetto “poetichese” che sceglie solo termini eletti e convenzionali a certa tradizione lirica. Nel dialetto inoltre questa mia tendenza a dare risalto alle espressioni del lessico viene potenziata e quasi resa materica, perché il dialetto è molto aderente alle cose, alla fisicità dell'esperienza, permette di esprimere i concetti soltanto facendo ricorso a delle metafore corporee, in quanto non è provvisto di termini astratti, e questa sua peculiarità sollecita molto il tipo d'indagine linguistica che cerco di praticare. Ma tale possibilità di usare la lingua come espressione del corpo, e quindi facendo ricorso a tutti i sensi possibili – olfatto, gusto, tatto, etc. - cerco di perseguirla anche in italiano. Una sezione di un mio libro del 2003 (Per sensi e tempi) è centrata proprio sul tema sensoriale ed è intitolata appunto Sonetti sensibili."
Una scrittura dunque vicina al linguaggio del corpo.
"Pare di sì. C’è infatti un altro mio testo, pubblicato nel 1988 negli Stati Uniti con la traduzione in lingua inglese di Amelia Rosselli, dal titolo Body movements. E lì i movimenti del corpo vengono resi con parole che vorrebbero porsi come protesi corporee, con un ritmo prosodico che simula il pulsare del sangue nelle vene dei versi. Body movements fu una tappa importante del mio percorso, sia per la traduzione della Rosselli, una delle voci più alte della poesia europea del secondo novecento, che per lo schiudersi del mercato editoriale americano."
Quanto è legata la sua opera alla città di Lanciano?
"Apparentemente non molto. Anche se la mia famiglia è lancianese da generazioni, non c’è un mio libro che riguardi Lanciano nella sua specificità, ma nei vari testi in italiano appaiono a sprazzi allusioni o rimandi localistici, agganci trasversali, modi di dire della mia cittadina. In Rasulanne invece c'è la lingua frentana, e con essa ovviamente il lancianese, e alcuni personaggi ispirati a tipologie locali, pur se ricreate con molta libertà. Tali personaggi raccontano il loro vissuto attraverso la forma del monologo, per cui l'io poetante è un io rappresentato, come se da autore mi trasformassi in attore, interpretando più ruoli ed entrando nelle vicende delle mie creature."
Lei infatti recita anche. Questi testi sono stati scritti quindi per il teatro?
"No. In realtà sono nati da un'esigenza di spersonalizzazione, di abbandono dell'io lirico tradizionale per cercare una dimensione più ampia. È un'esigenza simile a quella del narratore, che costruisce trame e personaggi. Questo mio aspetto “scenico” incuriosì il regista-attore Gabriele Tinari, che nel 1998 teatralizzò molti di questi testi, allora ancora inediti, per lo spettacolo Mar'addó', facendomi anche recitare. Da allora ebbe inizio la mia parziale e zigzagante “carriera” d'attore."
Qual è il messaggio che vorrebbe esprimere con la sua scrittura?
"Mi imbarazza parlare di “messaggi”, perché la poesia non proclama, non è una forma di “comunicazione” diretta, non è orientata in un'unica direzione, dice e non dice al tempo stesso, per cui parlerei più di temi, espressi nei vari periodi della mia vita. Ho iniziato da giovane con temi vicini all’individuo, di matrice autobiografica ma non solo, e quindi anche in relazione ai rapporti privati di altre persone, orientati sui problemi della solitudine e della difficoltà comunicativa, influenzati ancora nello stile dalla lezione montaliana. Poi man mano ho allargato i miei interessi in un ambito collettivo, civile, politico in senso proprio, relativo quindi alla polis, alla comunità. Per cui sono nati testi di denuncia su tanti vizi e vezzi del mondo contemporaneo, con toni ora amari e dolenti ora satirici e quasi comici. Ma la poesia va comunque oltre l'aspetto politico, lo trascende in modo metafisico, non s'accontenta mai dell'apparenza razionale di fatti e situazioni. La stessa ricerca di una lingua “altra”, che possa comprendere più condizioni e mondi sonori, una lingua che riesca a colpire il lettore con la fascinazione appunto del suono, con “partiture” di parole che si rincorrono ed echeggiano fra loro come note, è una ricerca di “oltranza”, che va quindi al di là del dato fisico, che pure resta molto importante. Per me l'aspetto semantico dovrebbe procedere di pari passo con l'aspetto fonico, e quello etico-politico con quello metafisico-spirituale. È un fine che mi propongo, spesso non facile da raggiungere."
La parte spirituale ha mai prevalso sulle altre? Oppure, vista la numerologia de La Corona dei mesi, c’è mai stato un aspetto esoterico della sua poesia?
"Non credo, almeno non c'è coscientemente, pur se sono affascinato dai numeri. Ma sono più attratto dalla geometria e dall’architettura compositiva. Nel libro che lei ha citato ci sono dodici componimenti, quanti sono i mesi dell'anno, preceduti e conclusi da un prologo e un epilogo, disposti secondo uno schema prosodico che rimanda ad una precisa struttura geometrica.”
Qual è la parte della scrittura che più la affascina?
“Quando la scrittura dell'autore continua nella riscrittura mentale elaborata dal lettore, che trova a volte – dal suo diverso punto di vista – angolazioni ed effetti impensati da chi scrive... ecco, quando questo accade, ci si sente utili, ci si rende conto che il proprio mondo di parole forse non è circoscritto e fatuo, ma può lasciare una traccia di suggestione, o magari di conoscenza, su cui altri sapranno orientarsi.