LANCIANO - “Se non si pensa ad un nuovo, serio, piano industriale di investimenti, lo stabilimento Honda di Atessa rischia davvero la chiusura”. E’ questo l’allarme lanciato dai sindacati Fim, Fiom, Uilm e la RSU Honda, questa mattina, venerdì 13 novembre.
I segretari generali Domenico Bologna, Davide Labbrozzi e Nicola Manzi hanno fatto la loro denuncia a causa dell’annuncio da parte della Honda della delocalizzazione della produzione dei motori da Atessa in Vietnam. Un annuncio che è arrivato come una doccia fredda nello stabilimento di Val di Sangro, soprattutto a tre anni dalla sottoscrizione del piano industriale che portò ad una imponente ristrutturazione e che prevedeva tre punti fondamentali. “Eravamo giunti ad un accordo - ha ricordato Davide Labbrozzi - su tre punti: la riduzione dei posti di lavoro, il pareggio di bilancio e la produzione annuale di 120 mila pezzi. E dopo tre anni, mancano ancora due di questi punti”. Per marzo 2016 sono previsti 81mila pezzi, mentre per il 2017 si scende a 77mila.
“Senza investimenti come si può rilanciare uno stabilimento? - si chiede Nicola Manzi - Quello che quindi chiediamo con forza è una grande operazione di rilancio di Atessa che, con i giusti investimenti, può competere nella produzione mondiale delle moto, come unico stabilimento in Europa per questa produzione”.
“La casa madre ha giustificato questa delocalizzazione con una necessità di risparmio - ha proseguito Labbrozzi - ma che fine farà la qualità? Ci sarà un calo del valore dei prodotti e dello stabilimento. Siamo sicuri di voler sacrificare il Made in Italy per un risparmio non ancora certificato? E siamo sicuri di voler trasformare questo stabilimento in un magazzino?”.
"Sì, l'affair Di Lorenzo potrebbe aver inciso su questa decisione della casa madre di non investire su Atessa - ha commentato Domenico Bologna - ma adesso i vertici sono cambiati, ed è con loro che abbiamo sottoscritto un piano industriale, per cui speriamo che questo non sia un alibi per andare altrove".
Dopo la denuncia, parte quindi lo stato di agitazione dei lavoratori che non intendono accettare la decisione e rischiare di perdere il lavoro.
“A questo punto apriamo una nuova fase - ha affermato Davide Labbrozzi - per cui chiederemo un incontro al Ministero di verifica e proposta a cui dovranno partecipare anche le istituzioni e ci troviamo costretti ad inasprire i toni sindacali. Non sappiamo ancora con precisione cosa accadrà - ha concluso Labbrozzi - ma non ci fermeremo qui”.