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Mons. Cipollone si schiera contro la chiusura dei punti nascita

"Spero che la nostra classe politica regionale sappia difendere ciò che davvero serve al nostro territorio", è l'augurio del vescovo.

Redazione
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Anche mons. Emidio Cipollone, arcivescovo della diocesi di Lanciano - Ortona, decide di esporsi sul problema della chiusura dei punti nascita presso i presidi ospedalieri della regione Abruzzo e con una lettera, prova a dar voce a chi ne ha meno, o non ne ha, e a difendere i diritti degli abruzzesi, delle mamme e dei bambini.
Di seguito il testo integrale della lettera di mons. Cipollone.


"C'era una volta...", così iniziavano tutte le favole che, da piccoli, ci hanno raccontato o abbiamo letto. Erano racconti in cui le ragazze attendevano i loro principi azzurri, le case erano di marzapane, le zucche si trasformavano in carrozze e, anche se c'erano i lupi, c'era sempre una fata, o chi per lei, che veniva a risolvere ogni difficoltà e a permettere di superare qualunque problema. Insomma, era un mondo in cui, proprio come ogni fiaba ci comunicava in  conclusione, "vivevano tutti felici e contenti".
La realtà, lo sappiamo tutti, anche per esperienza diretta, è un'altra cosa! L'inizio delle favole, però, mi è tornato prepotentemente in mente vedendo come ci si sta comportando con i nostri presidi ospedalieri di "periferia" e, specialmente, con i "punti nascita".
C'era una volta la U.S.S.L., cioè l'Unità Socio Sanitaria Locale, in cui l'aspetto sociale (le persone) precedeva quello sanitario (i posti letto, i costi...) che era "per" le persone; è, poi, arrivata la U.S.L., cioè l'Unità Sanitaria Locale, che ha "perduto" per strada l'aspetto sociale e ha messo, sempre più, in evidenza le strutture e i costi, perdendo, in parte, il loro essere "per" gli uomini e le donne dei vari territori; adesso, siamo arrivati alla A.S.L., cioè all'Azienda Sanitaria Locale, alla quale viene chiesto, esclusivamente, di "fare businnes", cioè di essere e di fare come ogni altra azienda. In questo modo, però, le persone non contano più! Esse vengono calpestate perché ciò che conta sono i "numeri"!
Ci dicono che bisogna "rientrare", che bisogna "ottimizzare le prestazioni" e che, per questo, bisogna, tagliare e chiudere, senza andare troppo per il sottile, senza verificare i "costi umani" di queste operazioni. Ma, chiedo scusa per l'impertinenza della domanda, quale sarto prima taglia la stoffa e, poi, prende le misure ai suoi clienti? La logica direbbe di fare il contrario! E, allora, mi chiedo, e con me, certamente, se lo chiedono tutti coloro che abitano questi territori, perché chi di dovere, prima di tagliare, non "prende le misure"? Si è proprio sicuri che le chiusure preventivate siano la soluzione migliore per i cittadini, specialmente le donne e i bambini, e, paradossalmente, anche per l'economia? Non è che, come ci ricorda continuamente Papa Francesco, in questo modo si sta, semplicemente, "globalizzando l'indifferenza"?
Come Chiesa locale non abbiamo grandi possibilità di far giungere la nostra voce, che è la voce degli uomini e delle donne che vivono qui, a chi sta decidendo per noi, alle nostre spalle, senza tenere in nessun conto ciò che le persone desiderano. Mi affido a questo comunicato stampa per dar voce a chi non ha voce, nella speranza che la nostra classe politica regionale, che ne ha la possibilità, sappia far sentire alta la sua di voce per difendere ciò che davvero serve al territorio e a chi lo abita, senza cedere a logiche di potere e di economia staccate dalla realtà che, nel nome di un ottimo presunto, dimenticano il vero bene dei cittadini!

 

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