Il Primo Maggio ai tempi della crisi e la quasi festa del 'non lavoro'

La Redazione
01/05/2012
Attualità
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Primo Maggio, festa dei lavoratori, ma - con la crisi attuale ed una disoccupazione crescente - quasi assume i contorni della festa del 'non lavoro', anche nel territorio del Vastese dove non poche sono le sofferenze in atto, nel comparto industriale, soprattutto, ma non solo.

E' una giornata, ad ogni modo, di pausa, di riflessione, per i più. E quest'anno, nel pieno di una crisi per certi versi devastante, la ricorrenza può acquisire caratteristiche ancora di più stringenti, tra dati di poca occupazione che spaventano tutta Europa e quel cambio di passo che, a livello politico ed anche amministrativo per restare nel nostro ambito, fa sempre più fatica a notarsi.

Un contributo per questa giornata arriva da un estratto dell’ultimo libro di Francesco Varanini, direttore del comitato scientifico di Assoetica. Il libro si chiama "Nuove parole del manager. 113 voci per capire l’azienda" (Guerini e Associati, 2012). Un invito ai manager, ma ai lavoratori in generale a riflettere sulle parole che decidono di utilizzare.

Noi oggi ne abbiamo scelta una, la più emblematica: crisi. Aspettate a storcere il naso, potrebbe esserci una sorpresa. Viviamo nel segno dell’incertezza. In una parola, siamo in crisi. La crisi è un momento di instabilità, di potenziale rottura. Cruciale, decisivo. Eppure, non si tratta di un momento facilmente visibile. Leggendo il presente alla luce del passato - rassicurante nella sua continuità - siamo portati a non vedere la crisi. Dunque la crisi c’è se accettiamo di vederla. Tutto dipende dal nostro atteggiamento, dalla nostra capacità di guardare. La radice indoeuropea krei ci parla di ‘setacciare’, ‘vagliare’, ‘distinguere’. Il greco krino sta per ‘giudico’. E dunque: krisis è ‘separazione’, ‘scelta’, ‘giudizio’. C’è un rinvio alla capacità di cogliere, nelle condizioni di pace, l’apparire minaccioso di una possibile guerra. E c’è, al contempo, l’idea del distinguere le diverse alternative.

E’ noto che in cinese il concetto di ‘crisi’ è espresso con l’uso contemporaneo di due simboli, uno rappresentante l’idea del ‘pericolo‘ e l’altro rappresentante l’idea di ‘opportunità‘. Dunque attenzione al presente, speranza nel futuro. La crisi può essere superata solo affrontandola. Girarci intorno significa solo rinviare il momendo in cui dovremo comunque decidere, ‘tagliare’. La crisi è un interrogativo. La risposta può essere conosciuta unicamente immergendosi nella turbolenza, accettando di posare lo sguardo su oggetti spiacevoli. E sarà una vera risposta solo se sarà creativa. Illudersi di poter affrontare le situazioni usando strumenti e modelli adottati in passato, di fronte a precedenti crisi, è fallace. Perché ogni crisi è diversa da ogni altra. Saggio è pensare che gli strumenti e i metodi e le procedure e le misure che siamo abituati a usare siano, di fronte alla crisi, inefficaci, e forse anche dannosi. L’esperienza certo aiuta. Purché la si intenda come attitudine - che cresce con l’età e con le avventure affrontate - a leggere i ‘segnali deboli’ che indicano la possibile discontinuità. E si intenda l’esperienza, ancora, come capacità di leggere nella situazione il modo di affrontarla.

Il tifone di Joseph Conrad ci offre una metafora efficace. La Nan Shan naviga nei mari della Cina, sul finire del 1800. Il barometro annuncia l’avvicinamento di un tifone. Capita nelle mani del capitano McWhirr il manuale di navigazione, tante volte riletto. Il manuale insegna ad aggirare il tifone, ma ora - senza sapere bene perché - il capitano decide di attraversarlo. Facile col senno di poi commentare che il manuale era stato scritto quando si navigava a vela. Mentre il Nan Shan è a vapore.
La parola crisi ci descrive il problema, ma – misteriosamente – ci indica anche il modo di affrontarla.

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