Intervista con Abbas Di Palma, italiano convertito all'Islam

Domande e curiosità per capire meglio la religione musulmana al di là dei pregiudizi

Martina Luciani
26/01/2015
Personaggi
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LANCIANO - Nato 34 anni fa a Firenze, con spiccato accento toscano, barba e capelli rossi, occhi chiari ed abito della tradizione dell’Islam sciita. Sembra una stranezza, ma è Abbas Damiano Di Palma, convertito all’Islam all’età di 18 anni e primo Hujjatulislam (importante carica religiosa sciita) italiano.
Abbiamo avuto l’occasione di intervistarlo prima di un incontro su religione e attualità organizzato sabato scorso, 24 gennaio 2015, da CasaPound Lanciano, e ne abbiamo approfittato per provare a scardinare alcune convinzioni su Islam, religione, musulmani e soprattutto su integralismo e terrorismo.

Ci saremo riusciti?

Perché si è convertito all’Islam?

Si arriva ad un certo punto della propria vita in cui ci si pongono delle domande esistenziali e ci si accorge che la società moderna non è in grado di rispondervi. Io ho iniziato a chiedermi se il mondo in cui viviamo sia giusto, se c’è giustizia sociale e cos’è. Se siamo davvero felici o diciamo solo di esserlo. E così mi sono avvicinato all’Islam. L’uomo si è allontanato troppo dalla sua spiritualità. Dire di averla è una cosa, ma viverla davvero è un’altra.

Come ci si converte all’Islam? Ci sono degli step da seguire?
Sono gli step del cuore che si devono seguire. Più praticamente, basta recitare una formula e se si crede in quello che si è detto, si diventa musulmani. Io, in più, ho deciso di studiare meglio, andando un anno a Londra, un anno a Damasco in Siria e tre anni a Qom, antica città sacra dell’Iran.

Cosa ha trovato di diverso rispetto alla sua precedente religione, se ne aveva una?

Io ero cattolico, ho anche il sacramento della cresima. Ma mi sono sentito deluso dal cattolicesimo perché è una religione che, piano piano, si è allontanata dal connetterci con l’assoluto. E avvicinarsi all’Islam non è stato un rinnegare il proprio passato cattolico, ma l’esatto contrario, ovverosia, avere il coraggio di andare avanti e portarlo a termine. Dio è sempre lo stesso, anche se lo chiamiamo con tanti nomi, ma si differenzia solo nel modo in cui si manifesta.
Nell’Islam c’è una legge rivelata, un programma devozionale che viene dal sacro, che deve essere rispettato e che ci guida nella vita per il perseguimento della verità.

Quali sono state le reazioni alla sua conversioni?
Io mi sono convertito prima dell’11 settembre 2001, quindi la situazione era più tranquilla. In famiglia, all’inizio, ci sono stati sì un po’ di dubbi e titubanze, dati dalla non conoscenza della materia. Quando poi però si sono accorti che questo cambiamento mi stava rendendo più felice, sereno ed in pace con me stesso, i dubbi sono spariti.
 Per quanto riguarda gli amici, invece, con alcuni sono rimasto in contatto, con altri ci siamo persi. Non ci sono stati scontri o litigi, ma semplicemente ci siamo ritrovati come su due mondi diversi e per questo l’allontanamento è stato fisiologico perché non avevamo quasi più nulla di cui parlare.

Non crede sia pericolosa una eccessiva commistione tra legge religiosa e legge dello Stato?
No, perché dovrebbe? Nell’Islam è cruciale il concetto di sapienza. Il governo dovrebbe essere gestito dal più sapiente, dal più saggio. E chi è più saggio dell’assoluto? In Italia, noi non pretendiamo nulla e ci adeguiamo alle leggi dello Stato. Certo, non è la nostra condizione ideale, ma ci adattiamo.

Nell’ultimo periodo, abbiamo sentito accostare l’Islam soprattutto al terrorismo, cosa ne pensa?
L’Islam non è questo. Se parliamo di Isis o Al Qaeda, sono piccole frange estremiste che usano la religione come pretesto per una guerra che è solo politica soprattutto contro gli Stati Uniti e Israele. Nella comunicazione c’è un grande “fitro” che ci fa vedere solo questo perché c’è bisogno di trovare un nemico, come un tempo è stato il comunismo dell’Unione Sovietica. Ora c’è l’Islam, e quindi si attacca quello, molto spesso senza una conoscenza dell’argomento.

E degli attentati di Parigi cosa ne pensa? Qual è il suo giudizio sulle vignette di Charlie Hebdo?
Parliamo sempre di minoranze violente che probabilmente non conoscono ciò che c’è scritto nelle Scritture ed utilizzano il sacro per fare proseliti. Nelle Scritture troviamo un invito alla difesa qualora venissimo offesi o trattati con violenze, ma in questo caso possiamo solo parlare di un attacco.
 Per quanto riguarda le vignette, noi non potremo mai accettare un certo tipo di satira perché per noi, sul sacro, non si scherza. Se mi sono sentito offeso? No, io personalmente no. Ma molti altri sì. Più che essere offeso, a me dispiace per chi fa e vive di quelle vignette perché vuol dire che non ha capito nulla del senso della vita. E sono tante le strane coincidenze dell’attentato di Parigi. Non mi stupirebbe se si scoprisse che è tutta una montatura.

Nel Corano troviamo scritto “se uccidi un uomo, uccidi tutta l’umanità”. Com’è possibile che poi si arrivi ad un’interpretazione così distorta?
E’ un bel versetto, vero? Quelle stragi sono uccisioni ingiuste che nulla hanno a che vedere con la religione e con l’Islam. L’integralismo, come già detto, è una piccolissima parte. L’Islam è altro.

Altra questione cruciale è la condizione della donna. La subalternità della figura femminile, nel 2015, non è anacronistica? Cosa mi dice di quei padri che impediscono in tutti i modi, anche con conseguenze gravi, alle proprie figlie di vivere all’occidentale?
Come si legge nel Corano, “la donna è un aroma profumato”. La donna ha una funzione fondamentale nella società. Se la donna è proba, la società fiorisce. Se non lo è, cade tutta la società. L’uomo, qualora voglia sposarsi, è obbligato dalle Scritture ad assicurare alla sua donna un rifugio, dei vestiti, del cibo. La donna è la regina della casa. Può decidere di restare a casa a leggersi un libro, a guardare la tv e far fare tutto all’uomo. Ma può decidere anche di lavorare. Certo, ci sono delle differenze, fisiologiche e psicologiche, che fanno sì che un uomo e una donna siano portati a mansioni diverse. Chi è più bravo nella cura degli figli? Sicuramente la donna. Di contro, chi è più indicato per andare a combattere in prima linea? Di sicuro l’uomo.
Famiglie in cui ci sono comportamenti devianti esistono in ogni cultura e religione e, in ogni caso, restano una piccolissima parte.

Date le polemiche sulla permanenza delle moschee in Italia e sulla possibilità, per i terroristi, di fare proselitismo attraverso esse, volevo chiederle: un musulmano italiano deve per forza pregare in arabo?

Ci sono alcuni passi delle funzioni religiose che vanno recitate per forza in arabo antico, un po’ come se fosse il latino per la religione cattolica. Ma altri passi, come ad esempio il sermone del venerdì, possono essere recitati in tutte le lingue. E comunque si può sempre usare un traduttore per capire di cosa si sta parlando.

Cosa ne pensa del video in cui l’Isis dice “conquisteremo Roma”?
Nelle Scritture compare la conquista di Roma, così come di tutto il mondo. Ma è una conquista dei cuori. Certo, prima ci sarà uno scontro. Ma il nostro Profeta ci dice che ci sarà una guerra tra verità e falsità e mi sembra chiaro da che parte stia l’Isis.

Per concludere, lei morirebbe in nome di Dio?
Morire in nome di Dio è quello che ci auguriamo tutti. Il concetto di martirio è insito in ogni religione, e vuol dire “testimonianza”. Bisogna però stare attenti e differenziare chi dice di morire in nome di Dio, ma in realtà è solo un pazzo, e chi lo fa davvero, così come previsto dalle Scritture.

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