I social network serviranno davvero a comunicare? Una pagina personale e l’immagine di sé che si vuol dare. Il nostro «uno, nessuno o centomila» che non riesce a venir fuori. Un’immagine di sé falsata, una personalità nascosta. Vivono androidi nascosti dietro la propria bacheca, identificati in essa. Macchine in comunicazione. Un sorriso sostituito da un punto, un trattino ed una parentesi. Una stretta di mano da una richiesta di amicizia. Le emozioni di una vacanza dalla voglia di pubblicare quelle foto su facebook, perfino un tunisino sbarcato a Lampedusa vorrebbe raggiungere il proprio cugino a Bologna per poterlo taggare.
Social [+], che di social non hanno più molto. Studi della American Academy of Pediatrics dimostrano che aumentino la solitudine e che, addirittura, i soggetti più sensibili al confronto con gli altri e, che ne abusino, siano a rischio depressione. Tale patologia sarebbe causata dall’ansia da prestazione che crea la gestione di un profilo nel Social Network. Aspetti unici come i continui aggiornamenti di stato, foto da pubblicare per dimostrare di divertirsi, il sottoporre a giudizio ogni pensiero, il tormentone del: «Tu quanti amici hai?».
Una piazza virtuale popolata di gente che appena vuoi, ed appena vuole, scompare. Un allontanarsi spegnendo il computer, un eliminarsi rimuovendosi dagli amici. Costretti sempre più all’individualità , a restare soli davanti ad uno schermo, in lunghi pomeriggi, a perdere di vista la realtà ed i rapporti umani. A sottoporci di continuo a pareri e critiche altrui. A non assaporare più il gusto del raccontare perché lo hanno già appreso e sbirciato. A non aver più la propria privacy. A sentirsi parte di un tutto che è solo fantasia. Ad aver perso la propria identità , quella vera e non da androide.
La vita non può ridursi ad una bacheca.
Grazie, Mark Zuckerberg.